La Lombardia si conferma locomotiva del lavoro in Italia con occupazione stabile e imprese in crescita, ma la sfida per restare competitivi passa da formazione continua, innovazione e nuove professionalità
Smart working consolidato, calo delle dimissioni, attenzione crescente all’Intelligenza Artificiale e un tasso di disoccupazione tra i più bassi d’Europa. Ma anche gap formativi da colmare, soft skill da valorizzare e competenze da sviluppare. È questa la fotografia del mercato del lavoro lombardo che emerge dall’analisi di Jacopo Moschini, presidente Giovani Imprenditori Confindustria Lombardia.
Uno scenario fatto di luci e ombre, in cui le imprese si trovano a bilanciare la solidità del presente con la necessità di investire sul futuro, puntando su formazione, innovazione e centralità del capitale umano, considerato un fattore decisivo per la competitività. Jacopo Moschini, qual è lo stato dell’arte in Lombardia?
«Confindustria Lombardia ogni anno rileva lo stato dell’arte del mercato del lavoro regionale: dall’edizione 2025 dell’indagine di Confindustria Lombardia sul mercato del lavoro “I numeri per le risorse umane” è emerso un mercato maturo e performante. In particolare, in Lombardia assistiamo alla stabilizzazione del ricorso allo smart working (il 47% delle imprese lo ha introdotto e ne usufruisce il 28% dei lavoratori), al calo del tasso di dimissioni volontarie (5,4%), ad aumenti retributivi (nel 2024 il 3,1% delle imprese ha messo a budget aumenti), ma anche ad una crescente attenzione all’Intelligenza Artificiale e alle competenze necessarie alla sua integrazione in azienda. Con un tasso di disoccupazione regionale al 3,1% (luglio 2025) e una crescente attenzione da parte delle imprese alle esigenze dei propri dipendenti e collaboratori, questa è la descrizione di un mercato sano che supporta il sistema produttivo di riferimento».
La transizione digitale e green sta cambiando radicalmente i modelli di business: quali sono le principali sfide per le imprese nel reperire e valorizzare le competenze necessarie?
«Come Giovani Imprenditori abbiamo l’obiettivo e il dovere di rendere l’Italia più competitiva, più dinamica e più pronta a scommettere su chi vuole fare impresa. Servono investimenti seri in formazione e università, maggiori sinergie tra ITS Academy e università ma anche politiche capaci di rendere l’Italia un Paese attrattivo per i giovani che vogliono restare e costruire qui il proprio futuro».
Quali sono i gap formativi più urgenti da colmare tra i giovani che si affacciano al mercato del lavoro?
«Il principale gap da colmare è quello relativo alle materie STEM, non solo per quanto concerne il coinvolgimento delle donne ma in generale della forza lavoro potenziale: ancora oggi il 60% delle PMI italiane segnala difficoltà nel
reperire figure con un’adeguata preparazione tecnica e scientifica. Dato poi lo sviluppo e l’integrazione dell’Intelligenza Artificiale nei processi aziendali, nelle imprese si avverte anche un rinnovato bisogno di professionisti in possesso di una formazione umanistica, che sappiano applicare il pensiero critico e la logica nelle task di tutti i giorni».
In che modo le PMI, che costituiscono l’ossatura del tessuto produttivo lombardo, possono affrontare il tema della formazione continua dei dipendenti senza perdere competitività?
«Le PMI hanno la necessità di identificare le specifiche esigenze di formazione in base alle competenze richieste per il proprio business e alle innovazioni che vengono introdotte in azienda. Le piccole e medie imprese possono unire le forze, ad esempio sotto il cappello delle associazioni di rappresentanza come Confindustria, per organizzare attività formative congiunte, possono integrare la formazione teorica con attività pratiche e affiancamento sul lavoro, ma anche sfruttare gli incentivi dedicati alla formazione, le piattaforme regionali e i fondi interprofessionali. Una combinazione di formazione mirata, collaborazioni, incentivi e flessibilità organizzativa può aiutare le PMI lombarde a investire nella crescita delle competenze dei dipendenti senza compromettere la propria competitività”.
Qual è, secondo lei, la “soft skill” che farà davvero la differenza per i lavoratori e gli imprenditori del futuro?
«Partiamo dal presupposto che per definire le skill è necessaria una capacità di comprendere meglio il mercato del lavoro. Tra le soft skill che potranno fare la differenza nel futuro ci sarà, a mio avviso, la capacità di instaurare un dialogo quotidiano uomo-macchina: la crescente introduzione dell’IA nelle aziende, ma anche nella vita di tutti i giorni, obbligherà tutti noi a dover collaborare con sistemi artificiali, robot, macchine pensanti. A questo aggiungerei l’esigenza di combinare questa capacità alla conoscenza delle HECI: Humanity, Ethics, Creativity, Imagination. Per fare da contraltare alla robotizzazione delle funzioni ma soprattutto perché senza le HECI la nostra crescita, economica, aziendale e sociale rischia di perdere significato e direzione».




